Massimo Piattelli Palmarini: ritrattino di Kant (di Chiara Riforgiato)

RITRATTINO DI KANT AD USO DI MIO FIGLIO

 

Il fascino discreto della ragione.  Piattelli Palmarini ci presenta Kant

  

   Chiara Riforgiato

 

Immanuel Kant. Dalla pag. 652 alla pag. 751 del nostro manuale di filosofia. Critica della Ragion Pura, Critica della Ragion Pratica e Critica del Giudizio. Potremo leggerlo, studiarlo e addirittura faticare fino a notte fonda nel tentativo di far arrivare la concentrazione a livelli massimi e riuscire a strappare un sette e se tutto va bene anche un otto, e tuttavia non essere capaci di cogliere il significato profondo dell’ “uomo Kant”, della “personalità Kant” e soprattutto del “filosofo Kant”. Così Massimo Piattelli Palmarini, autore del libro Ritrattino di Kant a uso di mio figlio, edito da Mondadori nel 1994, ha deciso di consegnarci un’immagine del grande filosofo tedesco, componendo, come all’interno di un enorme e complesso puzzle, tutte quelle nozioni accademiche e scolastiche, vagliandole attraverso la realtà culturale del proprio tempo, e mettendo in luce la profonda attualità e dinamicità del pensiero kantiano.

Kant, per come ce lo descrive Palmarini, risulta essere una personalità insolita, anticonformista, pignola, maniacale e meravigliosamente poliedrica. I grandi esperti e scienziati del suo tempo rimasero sbalorditi dalla quantità di teorie che Kant aveva recepito e sviluppato semplicemente leggendo testi scritti, senza mai aver avuto accesso alla via sperimentale o di tutte quelleconoscenze sulle abitudini, gli usi e i costumi di luoghi lontani che non aveva mai visitato ma che Kant aveva acquisito attraverso le dettagliate informazioni che richiedeva a coloro che fossero appena tornati dai loro viaggi. Ad esempio Kant teorizzò come Laplace la formazione del Sistema solare e delle stelle tramite un processo di raffreddamento e condensazione della polvere cosmica. All’ interno della descrizione di questo fenomeno Dio non venne assunto come ipotesi né da Kant né da Laplace che tuttavia non ne negarono l’ esistenza, collocandosi, quindi, in un comune terreno agnostico. Inoltre la spiccata razionalità, logicità con cui Kant affrontava qualsiasi tipi di problematica che la realtà attorno a lui gli proponeva, si riflettevano anche nella sua quotidianità, tanto che si racconta che quando morì il suo fedele servitore Lampe, Kant scrisse un grande cartello che posizionò nel suo studio con su scritto “Dimenticare Lampe”. Certo è, come giustamente commenta Piattelli Palmarini, che molte volte l’ agire solo secondo la ragione purissima ci porta a compiere gesti un po’ stupidi ma ciò che non è stupido, né patetico in ciò che fece Kant fu il voler superare qualsiasi situazione attraverso l’ uso della ragione.

Proprio l’uso della ragione fu terreno di dibattito fra Kant e il religioso Ludwig Ernst Borowski che nonostante la sua ammirazione per il filosofo tedesco avrebbe fortemente voluto che Kant riconoscesse il fatto che la ragione “falla e fallerà sempre” e che all’ uomo occorresse l’intervento del sommo Creatore per continuare a camminare sulla retta via. Dal canto suo Kant sottolineò che la ragione ha dei limiti nella conoscenza e nell’ agire secondo il dovere per il dovere , ma ribadisce, anche tramite la propria filosofia, che la ragione abbia l’ originale facoltà, secondo cui essa “possa non sbagliare” e se anche sbagliasse è in se stessa che deve trovare la possibilità di correggersi. Si evidenzia qui quel rapporto fra religione e morale, che esattamente come la conoscenza, in Kant sarà l’oggetto “di quel pasticcio, di quel mostro geniale” che è la sintesi a priori. Secondo Kant, infatti, la morale non può venire dall’alto, non può essere una legge imposta da un essere superiore che l’uomo accetta per la paura dell’ Inferno o per l’ aspirazione al Paradiso: questo è un pensiero semplice, un pensiero troppo basso per la creatura umana. Come dice Kant, infatti, “Non dobbiamo considerare certe azioni doverose perché sono precetti di Dio, ma dobbiamo considerarle come precetti di Dio perché sono interiormente doverose . L’uomo giusto può ben dire: io voglio che vi sia Dio”. Allo stesso modo viene rifiutata la morale a posteriori degli empiristi, perché un modo di agire individuale, mutevole ma soprattutto ipotetico. Kant apre quindi le porte alla morale categorica e Piattelli Palmarini a questo punto ci porta l’ esempio e il confronto fra la madre categorica e quella ipotetica: la madre ipotetica è la madre che quando parte per un viaggio fa l’ elenco al ragazzo lasciato solo a casa di tutto quello che deve e non deve fare, mentre quella categorica si raccomanda semplicemente di comportarsi da persona civile facendo ciò che va fatto. La seconda madre, quella categorica, reputa il figlio responsabile, indipendente e pensante; un figlio a cui non si dice concretamente cosa fare ma il modo, il criterio a cui bisogna ispirarsi nell’agire. Questo è il solo modo in cui si possa vivere degnamente la propria esistenza e soprattutto è il modo in cui possiamo realmente sperimentare la nostra libertà; una libertà concreta nel pensiero e nella volontà, considerata come “la facoltà di determinare la propria causalità”. Il criterio e quindi l’imperativo categorico si basa secondo Kant su due massime formali: secondo la prima il nostro agire si deve ispirare ad una legge universale e secondo l’ altra bisogna agire in modo tale che gli altri siano considerati come fini e non come mezzi, facendo di Kant un anti-Machiavelli perché il fine viene qualificato dal mezzo. Credo, inoltre, sia importante sottolineare il fatto che il tipo di morale introdotta da Kant riguardi l’uomo non in un suo momento di stravolgimento ma negli istanti della sua più alta consapevolezza razionale. Ebbe un bel dire Borowski quando affermò che il pensiero di Kant sarebbe dovuto rimanere di Kant e di pochi altri “geniacci” come lui perché altrimenti “i giovani imberbi” avrebbero usato l’arma del pensiero kantiano contro la religione! Kant rifiuta totalmente il principio delle doppie verità di cui Borowski si fa portavoce, nella convinzione che la ragione sia per tutti, “soprattutto per i giovani imberbi”.

Questa ragione di cui Kant così tanto frequentemente parla viene paragonata da Piattelli Palmarini al “colletto inamidato” del padre, a cui da piccolo si aggrappava per non cadere. La metafora che l’ autore ci propone serve a sottolineare il fatto che si “può camminare da soli, senza nessun aiuto esterno”, senza nessuna illusione divina che tuttavia rappresenta un errore benefico di cui ci serviamo per pensare rettamente. Proprio circa la religione Piattelli Palmarini spiega il significato del concetto della “religione entro i limiti di ragione”. Infatti nel 1793 Kant scrisse un presentazione della religione “come un’allegoria, una bella ed edificante metafora, la quale non è vera nel senso tradizionale , ma è pur sempre rappresentativa di verità profondamente umane, sotto forma di proiezioni ed esteriorizzazioni”. E così mentre per Marx religione significa alienazione, e per Freud sublimazione e proiezione, per Kant assume il significato di una componente fortemente umana e naturale che nasce da un segreto bisogno umano, il cui culto deve essere “libero, cosciente e intimo”. Di conseguenza Kant considera l’esistenza dell’anima come un’intuizione che la morale non possa essere limitata al corso di una vita, oltre la quale l’ uomo ha una qualche possibilità di diventare “angelo” superando la tensione fra impulsi naturali e morale. Così a differenza dei razionalisti che consideravano Dio un’anima razionale, il Dio kantiano diventa il frutto interiore della volontà razionale dell’uomo, procedendo verso il recupero pieno e completo della dimensione religiosa nell’ambito della libertà morale.

Numerosi furono gli eredi del pensiero Kantiano, in primis gli idealisti come Hegel, Schelling e Fitche, cioè quei filosofi che, come scrive Piattelli Palmarini, indossarono il colletto inamidato e cominciarono a creare ognuno il proprio mondo. Hegel, in particolare, concepì una filosofia in cui il rapporto fra l’a priori e l’ a posteriori fosse ciclico e dove la ragione fosse incarnata in ogni aspetto della vita umana. Così mentre per Kant “l’ avventura umana è remare con i propri muscoli nell’ oceano della realtà studiando i segni interni ed esterni per individuare la giusta rotta”, per Hegel, “l’avventura umana è come uno scivolamento sull’onda incalzante della realtà oltre la quale le cose non ci sono ma si stanno facendo”. Da questo confronto si chiarisce il fatto per cui la filosofia kantiana fu percepita, durante l’ascesa del pensiero hegeliano,come statica e contemplativa. Successivamente con Marx abbiamo una svolta: l’obbiettivo non è più quello di conoscere il mondo, ma di cambiarlo, nell’ottica dell’assenza di una morale marxista e della presenza “di una visione marxista della morale”. Infine presero campo la filosofia della fenomenologia e dell’esistenzialismo. La prima si basava su una radicalizzazione dell’io trascendentale di Kant , per la quale si aveva un soggetto teso verso il mondo, la cui conoscenza si basava sui punti di vista di tale soggetto, che quindi scomponeva e ricomponeva tramite riflessione la realtà. Tuttavia questa tensione verso le cose implicava passaggi successivi sempre maggiori, un po’ come la tartaruga di Zenone che doveva percorrere prima la metà, poi la metà della metà, poi un quarto della metà ecc., portando infine l’io trascendentale ad una sospensione, ad una condizione di dubbio totale. E’ evidente una presenza cartesiana in questo tipo di concezione e tuttavia mentre Cartesio giunge al cogito, emerge l’ io-nel-mondo per i fenomenologi che, tuttavia, insieme agli esistenzialisti rischiano di cadere nel solipsismo, ovvero “esisto io ed il mio mondo”.

In conclusione, quindi, vorrei sottolineare uno degli aspetti più interessanti dell’ impostazione filosofica kantiana: il profondo interesse per l’uomo, rivalutato come essere razionale e libero, le cui possibilità derivano proprio dalla consapevolezza dei limiti di tali possibilità.

 

Siena,  febbraio 2009

Mappa concettuale della “Critica della Ragion Pura” di I. Kant

 

 

Mappa Critica della Ragion Pura - 1 Mappa della Critica della Ragion Pura - 2

 

 I Principi dell’Intelletto Puro
Ho trascurato d’inserire nella “mappa concettuale” un riferimento agli “schemi trascendentali” ed ai “principi dell’intelletto”, ma direi che questi ultimi almeno – i quali garantiscono l’oggettività dell’esperienza – possono essere sintetizzati nell’espressione kantiana secondo cui, nella nostra rappresentazione della natura, «NON DATUR HIATUS, NON DATUR SALTUS, NON DATUR CASUS, NON DATUR FATUM». La natura visibile ci appare così come un complesso di fenomeni in cui sono esclusi il vuoto, l’interruzione di grado, il caso cieco e la necessità assoluta.

Il vuoto in quanto, sulla base delle categorie di quantità, tutte le intuizioni sono “grandezze estensive” (Assiomi dell’intuizione);
– l’interruzione di grado in quanto, sulla base delle categorie di qualità, in ogni fenomeno esistono “aspetti graduabili” (Anticipazioni della percezione);
il caso cieco in quanto, sulla base delle categorie di relazione, un fenomeno è strettamente collegato ad altri fenomeni (Analogie dell’esperienza);
– la necessità assoluta in quanto, sulla base delle categorie di modalità, un fenomeno esiste in una varietà infinita di manifestazioni (Postulati empirici in generale).